DADA non significa nulla
Posted: Gennaio 16th, 2008 | Author: alieno | Filed under: note a margine | 5 Comments »
Capita che il marketing si prenda sempre più spazi per vendere o svendere pezzi di immaginario e questo accade nel vuoto della memoria ma se si ha accesso ad un pezzettino di essa si possono creare cortocircuiti…
Un manifesto con tante faccine iconcine così web 2.0 pubblicizza una serie di credo il cui unico scopo è quello di contribuire al successo economico di un azienda che se va bene elargirà briciole, utili magarai a comprare altri servizi…
Ma DADA non è un credo e la speranza è che qualche granello di polvere possa ancora infastidire gli occhi di guarda agli spazi liberi del metaverso come a gradi praterie dove far pascolare le proprie vacche grasse, recintadole il più possibile e chiudendo la fantasia in riserve sempre più controllate magari per poter essere meglio saccheggiate…
Abbiamo dalla nostra la memoria e non temete abbiamo intenzione di…
rubare l’immaginario: DADA!
Per lanciare un manifesto bisogna volere: A, B, C, scagliare invettive contro 1, 2, 3, eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffonder grandi e piccole a, b, c, firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non-plus-ultra e sostenere che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio.
Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contradittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono nè favorevole nè contrario e non dò spiegazioni perchè detesto il buon senso.DADA non significa nulla.
Se lo si giustifica futile e non si vuol perdere tempo per una parola che non significa nulla. Il primo pensiero che ronza in questi cervelli è di ordine batteriologico: trovare l’origine etimologica, storica, o per lo meno psicologica. Si viene a sapere dai giornali che i negri Kru chiamano la coda di una vacca sacra DADA. Il cubo e la madre di non so quale regione italiana: DADA. Il cavallo a dondolo, la balia, doppia conferma russa e romena: DADA . Alcuni giornalisti eruditi ci vedono un arte per i neonati, per latri santoni, versione attuale di Gesùcheparlaaifanciulli, è il ritorno ad un primitivismo arido e chiassoso, chiassoso e monotono. Non si può costruire tutta la sensibilità su una parola, ogni costruzione converge nella perfezione che annoia, idea stagnante di una palude dorata, prodotto umano relativo.
L’opera d’arte non deve rappresentare la bellezza che è morta. Un’opera d’arte non è mai bella per decreto legge, obiettivamente, all’unanimità. La critica è inutile, non può esistere che soggettivamente, ciascuno la sua, e senza alcun carattere di universalità. Si crede forse di aver trovato una base psichica comune a tutta l’umanità? Come si può far ordine nel caos di questa informa entità infinitamente variabile: l’uomo? Parlo sempre di me perchè non voglio convincere nessuno, non ho il diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare.
Così nacque DADA da un bisogno d’indipendenza. Quelli che dipendono da noi restano liberi. Noi non ci basiamo su nessuna teoria. Ne abbiamo abbastanza delle accademie cubiste e futuriste: laboratori di idee formali: Forse che l’arte si fa per soldi e per lisciare il pelo dei nostri cari borghesi? Le rime hanno il suono delle monete. Il ritmo segue e il ritmo della pancia vista di profilo.
Tutti i gruppi di artisti sono finiti in banca, cavalcando differenti comete. Una porta aperta ha la possibilità di crogiolarsi nel caldo dei cuscini e nel cibo. Il pittore nuovo crea un mondo i cui elementi sono i suoi stessi mezzi, un’opera sobria e precisa, senza oggetto. L’artista nuovo si ribella: non dipinge più (riproduzione simbolica e illusionistica) ma crea direttamente con la pietra, il legno, il ferro, lo stagno, macigni, organismi, locomotive che si possono voltare da tutte le parti, secondo il vento limpido della sensazione del momento.
Qualunque opera pittorica o plastica è inutile; che almeno sia un mostro capace di spaventare gli spiriti servili, e non la decorazione sdolcinata dei refettori degli animali travestiti da uomini, illustrazioni della squallida favola dell’umanità .Un quadro è l’arte di fare incontrare due linee, parallele per constatazione geometrica, su una tela, davanti ai nostri occhi, secondo la realtà di un mondo basato su altre condizioni e possibilità. Questo mondo non è specificato, nè definito nell’opera, appartiene alle sue innumerevoli variazioni allo spettatore.
La spontaneità dadaista.
L’arte è una cosa privata. L’artista lo fa per se stesso. L’artista, il poeta, apprezza il veleno della massa che si condensa nel caporeparto di questa industria. E’ felice quando si sente ingiuriato: una prova della sua incoerenza. Abbiamo bisogno di opere forti, dirette e imcomprese, una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa. Tutti gli uomini gridano: c’è un gran lavoro distruttivo, negativo da compiere: spazzare, pulire. Senza scopo nè progetto alcuno, senza organizzazione: la follia indomabile, la decomposizione. Qualsiasi prodotto del disgusto suscettibile di trasformarsi in negazione della famiglia è DADA; protesta a suon di pugni di tutto il proprio essere teso nell’azione distruttiva: DADA; presa di coscienza di tutti i mezzi repressi fin’ora dal senso pudibondo del comodo compromesso e della buona educazione: DADA ; abolizione della logica; belletto degli impotenti della creazione: DADA ; di ogni gerarchia ed equazione sociale di valori stabiliti dai servi che bazzicano tra noi: DADA ; ogni oggetto, tutti gli oggetti, i sentimenti e il buoi, le apparizioni e lo scontro inequivocabile delle linee parallele sono armi per la lotta: DADA ; abolizione della memoria: DADA ; abolizione dell’archeologia: DADA ; abolizione dei profeti: DADA ; abolizione del futuro: DADA ; fede assoluta irrefutabile inogni Dio che sia il prodotto immediato della spontaneità: DADA.
Tristan Tzara, Manifesto Dada 1918
Quando ho visto la pagina pubblicitaria ho sussultato pensando che qualche bravo markettaro avesse trovato il modo veramente innovativo di pubblicizzare una mostra su Dada e dadaismi poi ho capito che era la solita ennesima manifestazione della bolla 2.0… peccato!
“voglio sottolineare che in Italia non c’e’ stato un movimento dada vero e proprio, ci sono state piuttosto delle singole manifestazioni.”
http://youtube.com/watch?v=gCvUvmQJgZM
In risposta al tuo commento su “N.D.R.” nel mio blog: Niente di valore commerciale … diciamo che ho preso sul serio una piacevole sorpresa. Per me vale e penso cio’ che ho scritto.
Su Dada: Piu’ di Dada trovo interessante la potenza trainante di Guy Debord. Dada voleva essere un’idea libera ed aperta a tutti, mentre il situazionismo fu, era ed e’ l’idea di un uomo solo.
Io amo questo tipo di biografie, queste megalomanie d’altri tempi in cui in un solo individuo si trovano tutti gli elementi necessari ad una filosofia perfettamente organica ed autonoma. Debord come un buco nero ha stravolto la vita di molti e la cultura come concetto, ha innescato da solo una reazione a catena che non era solo ribellione ma bensi’ autocoscienza.
Il situazionismo, a differenza del dadaismo, ha offerto una lettura nuova e piu’ ampia della societa’ integrando alla condizione del proletariato non solo il problema economico, ma bensi’ quello ben piu’ complessivo del desiderio.
Non voglio con questo invitare i piu’ ad emularlo ma, anzi, a cogliere l’esempio per sviluppare ognuno una convinzione cosi’ forte da distorcere il campo gravitazionale del mercato della cultura.
O
Interessante il commento, a firma di un morto, che cita l’egomane Evola di cui purtroppo molti continuano a non capire i limiti cosi’ come i pregi (mi riferisco ai commenti al video su youtube che sono raccapriccianti).
Mentre la notazione su situazionismo e Debord mi fa dire che personalmente ho sempre pensato che senza le solide spalle di Vaneigem non sarebbe stata la stessa cosa.
Detto questo mi rendo conto che la storia delle avanguardie non puo’ che essere letta come un flusso interrotto.
Hai ragione, e’ un flusso interrotto … come la storia del teatro e’ fatta a macchie. Pero’ credo anche che cio che resta alla storia non e’ proprio tutto tutto, ci sono cose, eventi, testimonianze, storie personali che non verremo mai a conoscere. E poi per esperienza sappiamo tutti che la storia non e’ mai una sola, ma ci sono migliaia di distorsioni da mettere insieme come un puzzle. E’ piu’ semplice farsene un’idea personale a piacimento, l’importante e’ lo stimolo che ci da. Il modo singolare in cui questo virus si installa dentro di noi.
Cerchiamo allora una metafora adatta: magari possiamo immaginare le avanguardie – almeno quelle che hanno lasciato traccia – come degli icebergs. Ne conosciamo la composizione principale e lo stato (solido in questo caso), pero’ restano incognite la provenienza e la direzione. Magari evaporeranno completamente perche’ troppo vicini all’equatore, magari cresceranno a causa delle condizioni climatiche. Alcuni sono abitati da colonie di pinguini mentre altri sono deserti di ghiaccio incontaminato. Altri ancora sono ancorati all’Antartide e altri ancora si stanno dirigendo verso altrettanti Titanic.
Vabeh, e’ solo una metafora. Mi piace vederla cosi’.