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Quattro minuti e zero cinque

Posted: Gennaio 11th, 2010 | Author: | Filed under: virgolette | 1 Comment »

Quella che segue è la prima pagina di Le irregolari "Buenos Aires horror tour" di Massimo Carlotto la metto qui nella speranza di trovare il tempo di trascrivere tutto il prologo che è in assoluto uno dei miei preferti… in poche pagine si codensa la memora ed i sentimenti di un pezzo della nostra (mia) storia e tutte le volte che lo rileggo mi vine da sorridere con un grande groppo in gola. Il titolo del post ovviemente è la durata della canzone Fango.

 

Ero
triste e, purtroppo, assolutamente sobrio. Sotto il braccio sinistro
tenevo un voluminoso pacco rettangolare. Il destro era impegnato
a sostenere l’ombrello che mi riparava da una pioggia fitta e
sottile. Mi trovavo esattamente al centro di Plaza de la Costituciòn
e osservavo i movimenti delle guardie che presidiavano il portone
centrale del palazzo della Moneda. Non potei fare a meno di pensare
che avevano le stesse divise e le stesse facce di 23 anni prima.
Anche la piazza era la stessa: sulle facciate bagnate dei palazzi,
risaltava lo stucco con cui avevano riempito centinaia di fori
dei proiettili esplosi il giorno del golpe.

Improvvisamente la pioggia cessò. Raccattai
un po’ di coraggio e mi avviai in direzione del palazzo. A circa
quaranta metri dal portone, appoggiai a terra il pacco e iniziai
a scartarlo. Con gesti nervosi estrassi un enorme "radione". L’avevo
comperato poco prima, in un frequentato negozio del centro; ero
entrato e avevo chiesto il più potente.

Alzai gli occhi verso il palazzo e incontrai
lo sguardo aggrottato di un paio di carabineros. dalla tasca del
giubbotto, estrassi un Cd e lo infilai nell’apposito scomparto.
Chiusi gli occhi e premetti il tasto play. Il volume era al massimo.
Tre secondi di silenzio, poi esplose la voce recitante di Ricky
Gianco:

 

Questa canzone racconta la storia di
uno che era giù,
molto giù…credo che più giù di così non si possa essere
e infatti Fango ebbe un padre negro e una madre pellerossa
l’una e l’altro lo lasciarono davanti a un portone
era l’Università di Heidelberg, forse di Jena…
Un leggio ebbe per culla, e un libro per la cena…

 

Nel frattempo i militari erano diventati
otto. Un tenentino batteva nervoso il frustino sui lucidi stivali
di cuoio. I sottoposti invece battevano i tacchi. Sui loro volti
erano stampate espressioni poco cordiali. Il pezzo durava quattro
minuti esatti, forse ce l’avrei fatta, forse no…

 

Quando fu più grandicello fece un salto
a Leningrado
e si mise a lavorare in una fabbrica di sogni
lui voleva fare un uovo tutto rosso e levigato
ma in programma erano cubi con lo stemma dello Stato…

 

Un minuto ed otto secondi. Tutto dipendeva
dal tenentino. Col frustino mi intimava ad abbassare il volume.
Io lo guardavo e scuotevo la testa. NOn potevo farlo: avevo dato
la mia parola.

 


One Comment on “Quattro minuti e zero cinque”

  1. 1 Noi said at 3:35 pm on Febbraio 3rd, 2010:

    Siamo rinchiusi in questa frase:
    “voleva fare un uovo tutto rosso e levigato ma in programma erano cubi con lo stemma dello Stato…”