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Com’è l’acqua?

Posted: Febbraio 23rd, 2010 | Author: | Filed under: virgolette | 1 Comment »

David Foster Wallace - Kenyon collegeQuesto pezzo, nella traduzione di Roberto Natalini, è la trascrizione del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005.

Mi rendo conto che è molto lungo da leggere a monitor ma me lo archivio qui in digitale come forma di… memento.

Com’è l’acqua?

di David Foster Wallace

Un
saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati
del Kenyon college.
Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino
all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione
opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi.
Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e
poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”
È
una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei
diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di
piccoli apologhi istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra
le meno stupidamente convenzionali nel genere, ma se vi state
preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce
saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego,
non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei
pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono
quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio
ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il
fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli
adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di
morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in
questa piacevole mattinata di sole.

Chiaramente, l’esigenza
principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del
significato dell vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi
perché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul
piano umano e non soltanto su quello puramente materiale. Per questo,
lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a
questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica
non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto
“nell’insegnarvi a pensare”.

Se siete come me quando ero
studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e
avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che
dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il
fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così
prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete
pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione
umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera
educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un
posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma
piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta libertà di
scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo
a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all’acqua,
e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro
scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.

Ecco
un’altra piccola storia istruttiva. Ci sono due tizi che siedono
insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due
tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull’esistenza di
Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo
la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni
per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e
della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo
in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo
a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi
sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un
Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi
aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con
aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non
sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è
successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per
caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.”

È facile
interpretare questa storiella con gli strumenti tipici dell’analisi
umanistica: la stessa precisa esperienza può avere due significati
totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste persone due
diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il
significato dall’esperienza. Poiché siamo convinti del valore della
tollerenza e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra
analisi umanistica vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due
tizi sia giusta a quella dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche
bene, tranne per il fatto che in questo modo non si riesce mai a
discutere da dove abbiano origine questi schemi e credenze individuali.
Voglio dire, da dove essi vengano dall’INTERNO dei due tizi. Come se
l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il
significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e
difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o
automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio.
Come se il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in
realtà un fatto personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre,
c’è anche il problema dell’arroganza. Il tizio non credente è
totalmente certo nel suo rifiuto della possibilità che il passaggio
degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con la sua preghiera.
Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e anche
alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio
degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente
dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza
cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così
totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso.

Il
punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte
di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere
un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica
su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle
quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente
sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così
immagino sarà per voi una volta laureati.

Ecco un esempio della
totale falsità di qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente
sicuro: nella mia esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia
profonda convinzione che io sia il centro assoluto dell’universo, la
più reale e vivida e importante persona che esista. Raramente pensiamo
a questa specie di naturale, fondamentale egocentrismo, perché è
qualche cosa di socialmente odioso. Ma in effetti è lo stesso per tutti
noi. È la nostra configurazione di base, codificata nei nostri circuiti
fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna esperienza che abbiate
fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo, così come voi
lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA
sinistra o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E
così via. I pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi
comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti,
reali.

Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una
lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il
problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro
di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e
codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente
centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa
attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la
loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”,
che credo non sia un termine casuale.
Considerando la trionfale
cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema di
quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione
di base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto.
Questo problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più
pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio
caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba
super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la
mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi
capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di
me.
Come saprete già da un pezzo, è molto difficile rimanere
consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo
costante all’interno della vostra testa (potrebbe anche stare
succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono
riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione
umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo
sintentico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda:
“imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un
qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere
abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare
attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete
esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora
sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente
come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi
comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà
esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si
suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano
al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono
in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.

E
vi dico anche quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si
dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come evitare di
passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita adulta,
come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra
solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete
unicamente, completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe
suonarvi come un’iperbole o un’astrazione senza senso. Cerchiamo di
essere concreti. Il fatto puro e semplice è che voi laureati non avete
ancora nessun’idea di cosa “in ogni momento” significhi veramente.
Questo perché nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di
una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la
noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani
tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.

Tanto
per fare un esempio, prendiamo una tipica giornata da adulto, e voi che
vi svegliate la mattina, andate al vostro impegnativo lavoro da
colletto-bianco-laureato-all’università, e lavorate duro per otto o
dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e anche
un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa,
godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per
poi ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete
svegliarvi presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a
questo punto, vi ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non
avete avuto tempo di fare la spesa questa settimana a causa del vostro
lavoro così impegnativo, per cui, uscendo dal lavoro, dovete mettervi
in macchina e guidare fino al supermercato. È l’ora di punta e il
traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al supermercato ci
mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo trovate
pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in
cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche
negozio di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e
riempito con della musica di sottofondo abbrutente o del pop
commerciale, ed è proprio l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non
potete entrare e uscire rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le
corsie caotiche di questo enorme negozio super-illuminato per trovare
la roba che volete e dovete manovrare con il vostro carrello scassato
nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e di fretta come voi,
con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci dò un taglio poiché è una
cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere tutti gli
ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza
casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata.
Cosi la fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida
e che vi fa arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra
frustrazione sulla povera signorina tutta agitata alla cassa, che è
superstressata da un lavoro la cui noia quotidiana e insensatezza
supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in questa prestigiosa
Università.

Ma in ogni modo, finalmente arrivate in fondo a
questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona
giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi
dovete portare quelle orrende, sottili buste di plastica del
supermercato nel vostro carrello con una ruota impazzita che spinge in
modo esasperante verso sinistra, di nuovo attraverso il parcheggio
affollato, pieno di buche e di rifiuti, e guidare verso casa di nuovo
attraverso il traffico dell’ora di punta, lento, intenso, pieno di SUV,
ecc.

A tutti noi questo è capitato, certamente. Ma non è ancora
diventato parte della routine della vostra vita effettiva di laureati,
giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo
sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente
insignificanti, noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto
è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che
interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie
affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo
di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a
cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che
andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è
la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame
e la MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi
sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi
sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di
loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi
spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e
volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro
cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò
sia profondamente e personalmente ingiusto.

Oppure, se la mia
configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e
umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine
giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e
Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e
consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di
benzina, e posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi
patriottici e religiosi sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e
più disgustosamente egoisti, guidati dai più brutti, più incoscienti e
aggressivi dei guidatori. (Attenzione, questo è un esempio di come NON
bisogna pensare…) E posso pensare che i figli dei nostri figli ci
disprezzeranno per aver sprecato tutto il carburante del futuro e avere
probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti siamo viziati e stupidi
ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei consumi faccia
proprio schifo, e così via.

Avete capito l’idea.

Se
scelgo di pensare in questo modo in un supermercato o sulla
superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che il fatto di
pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che
non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di
base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose,
frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando
all’interno della convinzione automatica e inconscia di essere il
centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi
sono ciò che determina le priorità del mondo intero.

In realtà,
naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di
situazioni. Nel traffico, con tutte queste macchine ferme e immobili
davanti a me, non è impossibile che una delle persone nei SUV abbia
avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso sia cosi
terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di
prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza
sicura quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la
strada sia forse guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o
malato nel sedile accanto a lui, e stia cercando di portarlo in
ospedale, ed abbia quindi leggitimamente molto più fretta di me: in
effetti sono io che blocco la SUA strada.

Oppure posso sforzarmi
di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa
del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che
alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura,
noiosa e dolorosa della mia.

Di nuovo, vi prego di non pensare
che vi stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste
pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo
facciate. Perché è difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete
come me, in certi giorni non sarete capaci di farlo, o più
semplicemente non ne avrete voglia.

Ma molte altre volte, se
sarete abbastanza coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi
potrete scegliere di guardare in un altro modo a questa grassa signora
super-truccata e con gli occhi spenti che ha appena sgridato il suo
bambino nella coda alla cassa. Forse non è sempre così. Forse è stata
sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta
morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata
meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato vostra
moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con
alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa.

Va bene,
nessuno di questi casi è molto probabile, ma non è nemmeno
completamente impossibile. Dipende da cosa volete considerare. Se siete
automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state operando
sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me,
probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non
siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi,
allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di
vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del
consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra,
ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la
mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica
sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è
che sta a voi decidere di vederlo o meno.

Questa, credo, sia la
libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben
adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e
che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco
un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea
quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per
una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa.
Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E
forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o
una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o Allah,
sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle
Quattro Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi
etici – è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà
per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose
affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non
averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la
bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando
i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete
un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Ad un certo
livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti,
proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni
grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa
verità nella coscienza quotidiana.
Adorate il potere, e finirete per
sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più
potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure.
Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati
intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre
sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di
adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce.
Sono la configurazione di base.

Sono forme di adorazione in cui
scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più
selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza
essere mai pienamente consci di quello che state facendo.

E il
cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la
configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini
e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una
pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé.
La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da
produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La
libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il
nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha
molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di
libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete
proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e
del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e
consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di
interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte
ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti.

Questa
è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa.
L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al
successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso,
qualcosa di infinito.

Lo so che questa roba probabilmente non vi
sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di
genere di cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per
come la vedo io, la Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di
stronzate retoriche. Certamente, siete liberi di pensare quello che
volete di tutto questo. Ma per favore non scartatelo come se fosse una
sermone ammonitorio alla Dr. Laura. Niente di questa roba è sulla
morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo
la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita PRIMA della morte.
È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che
spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice
consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben
nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non
dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua,
questa è acqua.”

È straordinariamente difficile da fare,
rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento.
Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce
per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura
tutta la vita. E comincia ora.

Auguro a tutti una grossa dose di fortuna.


One Comment on “Com’è l’acqua?”

  1. 1 Gromit said at 6:20 pm on Febbraio 23rd, 2010:

    Conoscevo questo testo e sapendo la fine che ha fatto DFW… dà da pensare!